Project Description
RACCONTARE IL SOCIALE ATTRAVERSO L’ARTE
Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Bergamo | Fondazione Accademia Carrara, Bergamo, 2024
Vorrei ringraziare tutte noi che abbiamo scelto con coraggio di aprirci in uno scambio dialogico inatteso, raccogliendo un’opportunità per stare in relazione in modo insolito e intimo, dove il racconto narrato da una parla sempre anche di noi, e dentro un’opera d’arte ci possiamo ritrovare e aprire ad altri, scoprendo nuovi spazi di noi, per noi e per chi incontreremo nel cammino di ogni giorno
Laura Visciglio, assistente sociale
Prendersi cura dei curanti: è questo il senso più profondo di Raccontare il sociale attraverso l’arte, un progetto dell’Assessorato alle Politiche sociali del Comune di Bergamo realizzato in sinergia con la Fondazione Accademia Carrara.
Il lavoro di narrazione intorno alle opere del museo, a cura di Patrimonio di Storie, nasce infatti come percorso formativo, di cura e di racconto di sé dedicato a diciotto operatrici dei Servizi Sociali impegnate in differenti aree di intervento (dai minori agli anziani, dalle persone con disabilità a quelle che vivono in condizioni di grave marginalità): un’occasione per rileggere, grazie all’intreccio con le opere d’arte dell’Accademia Carrara, la propria quotidiana esperienza di lavoro e di incontro con l’altro.
Ciò che ha reso unico questo percorso è stato il clima di desiderio, desiderio di avere uno spazio per sé, prima ancora che il bisogno di comunicare all’esterno la propria professione e il proprio impegno nella comunità: uno spazio che ha consentito alle narratrici di sondare nuove potenzialità attraverso il metodo narrativo e sviluppare nuove intuizioni sul proprio ruolo all’interno dei Servizi Sociali.
Foto di Maria Grazia Panigada
“Siamo agenti di cambiamento, ma non sappiamo dirlo…”, ha osservato una delle diciotto narratrici coinvolte nel progetto: ed ecco che il percorso compiuto insieme nelle sale dell’Accademia Carrara, in un “corpo a corpo” con le opere, indica con chiarezza le potenzialità che l’atto narrativo, intrecciato all’arte, può rivestire nei percorsi di cura e di sostegno alla fragilità, tracciando un nuovo sentiero per il welfare culturale.
Il lavoro di narrazione è confluito nella pubblicazione Raccontare il sociale attraverso l’arte, a cura di Lucia Cecio e Maria Grazia Panigada (Lubrina Bramani Editore, 2024). Nel volume, i testi sono organizzati per seguire il percorso di visita all’interno del museo, e quindi ben si prestano ad accompagnare chi legge nella scoperta delle collezioni sala dopo sala, restituendo nuovi sguardi e nuovi significati.
Qualche estratto dalle narrazioni
Questa scultura in bronzo raffigura il Titano nell’atto di reggere una grande sfera e io mi rivedo in quest’uomo, mi ritrovo in lui. Il suo corpo è strutturato in modo simile al mio: guardandolo è come se mi vedessi rispecchiata. È in una postura precisa: il ginocchio destro è appoggiato a terra, mentre il piede sinistro gli permette di mantenere l’equilibrio. È la stessa posizione che gli atleti hanno alla partenza delle gare.
Il mio mondo, il suo mondo, hanno un peso.
Per ognuno di noi il proprio mondo ha un peso.
Il suo è talmente pesante che ha gli occhi di fuori per lo sforzo che sta compiendo, oppure perché è concentrato verso qualcosa che lo ha colpito, ma sa che, anche se vede un pericolo, non può difendersi, non può lasciar cadere la volta celeste che sta reggendo. […]
È come sono io, con il mio lavoro che svolgo da quindici anni. Ci ho investito tanto, competenza, passione, sentimenti: è per questo che lo so reggere, che lo sento mio.
E allora torno a quello sguardo che si proietta oltre, che sa lasciare andare le cose perché portino cambiamento, perché portino a compimento un desiderio, in uno sguardo profetico e pensoso.
Tutto questo dentro una tramatura preziosa, che più mi avvicino e più mi appare; quanto facciamo attenzione alle trame preziose delle vite di chi arriva a noi? E come avvicinarci con la giusta delicatezza che avvolge e rassicura, come dare certezza e speranza di un futuro ragionevole? Tutto questo richiede cura, attenzione, tempo. Gli sguardi si caricano di colori, di scelte, di significati. E poi serve saper lasciare andare. Lasciarli andare i nostri pensieri, i nostri figli…
Mi ricordi delle persone che incontro sul lavoro e che spesso, molto spesso, entrano nel mio ufficio prima con lo sguardo. Lo sguardo arriva prima del corpo e delle domande che mi faranno. Arriva prima lo sguardo delle risposte che daranno alle mie domande, arriva prima per interrogare chi sono io. Saprò capirli? Saprò cogliere quello che c’è dietro le loro parole? Saprò dire io parole che potranno far distendere il loro sguardo preoccupato? Non sono venuti con leggerezza, non sono venuti per fare un tentativo e via, tutto come prima. Sono venuti sperando che io possa cogliere cosa ci sia sotto la richiesta di un aiuto economico, un servizio di assistenza, un aiuto sul lavoro, un’urgenza di collocamento per una violenza … Sono venuti per avere un posto dove appoggiare la solitudine profonda che annichilisce le forze produttive, per avere un foglio dove annotare un’ipotesi di strada nuova, per avere a volte anche un secchio dove vomitare la rabbia.
Anche il tuo sguardo, bambina, porta un furore rappreso. Il furore di un’innocenza che forse sarà tradita da un destino non scelto.
In quante case entro? Tante, eppure alcune me le ricordo più di altre, come quella in cui sono stata un paio di settimane fa. Un appartamento ordinato, con grandi spazi e una luce filtrata dalle tende che illumina e nutre le orchidee vicino alla portafinestra. Una casa bella come belle sono le persone che la abitano. Sono lì per lei e la sua mamma, ci mettiamo comode sul divano e parliamo, cerchiamo di capire come risolvere i piccoli problemi quotidiani e riflettiamo sul futuro di lei, di quando la mamma non ci sarà più. Un bicchier d’acqua e dei dolcetti mi vengono sempre offerti, gesti di cura che mi fanno sentire accolta e gradita. Il tempo a disposizione è finito, devo andare. Sull’uscio della porta la sua mamma, per salutarmi, poggia le sue mani dolci sul mio viso e rimango colpita dal calore che sento dentro. Scendo le scale in silenzio e penso che questo gesto lo terrò con me per sempre, proprio come quel segno sul liuto.