Project Description
NUTRIRE LA COMUNITÀ
IL CIBO COME STRUMENTO DI CURA E RELAZIONE
Associazione Aiuto per l’Autonomia odv, Bergamo, 2024
Il compito dei parlanti, dei narratori, della narrazione stessa, è sempre necessariamente un dare nuovamente origine alle cose, come fossero sempre allo stato nascente
Marco Baliani
Aver dato nuovamente origine alle cose: è forse questo il lascito più profondo del percorso vissuto insieme ai dodici narratori di “Nutrire la comunità”. Persone che, grazie all’atto trasformativo del narrare, hanno rimesso in circolo le mille storie che scaturiscono dal cibo come nutrimento, reale e metaforico, della collettività: non solo diritto, ma anche esperienza di convivialità e di coesione sociale, “dono creativo” e anello di congiunzione, quasi di comunione, con la terra.
Foto di Caterina Marra
Attraverso il coinvolgimento di altre realtà attive sul territorio bergamasco (Associazione ProPolis, Orti del Quintino, I Broli di Monterosso, CTE – Centro per Tutte le Età di Monterosso, GAS di Monterosso Valtesse, Istituto Comprensivo Camozzi, Scuola dell’infanzia Benvenuti), l’idea iniziale dell’associazione Aiuto per l’Autonomia – valorizzare le proprie attività a sostegno delle persone fragili che desiderano continuare a risiedere nel loro contesto di vita – si è evoluta in un racconto corale sull’importanza del cibo: non solo bisogno primario, ma veicolo di giustizia sociale e formidabile mezzo per costruire relazioni.
I dodici narratori (cittadini, volontari, educatori) di “Nutrire la comunità” ci portano così in luoghi ed esperienze dove la magia della produzione, della raccolta, della preparazione e della condivisione del cibo si rinnova ogni giorno: dalla cucina del CTE alla cena di strada in via Giulio Cesare, dalla consegna dei pasti a domicilio di “Ol Disnà” alle “prose gentili” degli Orti del Quintino.
Per loro, costruire questi percorsi narrati tra i quartieri di Valtesse, Monterosso, Conca Fiorita e Valverde ha significato non solo dilatare lo sguardo, ma anche nutrire la capacità di darsi tempo, di prendersi cura, di prestare attenzione all’altro, di dare dignità alle voci e alle storie, di creare e rafforzare i legami con le persone attraverso lo straordinario patrimonio immateriale di cui sono portatrici. Contribuendo così a promuovere un passaggio di testimone tra generazioni, ma anche a rinsaldare quelle preziose reti dalla cui forza e ricchezza dipende il benessere della collettività.
Il lavoro con i narratori è confluito nella pubblicazione Nutrire la comunità. Il cibo come strumento di cura e di relazione, a cura di Simona Bodo e Maria Grazia Panigada (Monti Edizioni, 2024); si può richiederne una copia scrivendo a segreteria@aiutoperlautonomia.it
Qualche estratto dalle narrazioni
Il capo velato di mamma Amina ha appena superato la curva che porta al Quintino. Riconoscerei tra mille quel passo frettoloso: una mano a tenere il suo piccoletto, che sgambetta svelto per non perdere il ritmo, una mano a sorreggere un gran pacco che già immagino pieno di profumi.
Cerco di raggiungerla, curiosa come sono di sapere che cosa ha preparato questa volta per la festa di fine anno, ma uno stuolo di mamme mi dà la voce, chi per salutare, chi per chiedere rinforzi nel portare vassoi, teglie e borsoni colmi di ogni ben di dio, appena tolti dalle auto parcheggiate.
Qualche commento alimenta la curiosità: – “Mmm che profumino…, – Attenta, forse scotta, l’ho appena tolto dal forno…, – Occhio che è pesante…”, ma nessuno, ancora, svela quale sarà “il suo dono”.
Ci sarà tempo, il pomeriggio è lungo e la festa non è ancora cominciata.
Talvolta è solo una questione di un attimo.
È quell’istante tra il prima e il dopo, quel momento di sospensione, il passaggio tra la strada fatta e ciò che sta per succedere.
È come una fotografia, quell’attimo, e subito si vedono tanti tavoli gialli da osteria, ciascuno con le sue due panche, ben allineati in una strada di periferia, tra case popolari e alti alberi verdi che svettano su chiazze di asfalto e calore. Sullo sfondo una collina dal verde intenso.
Tra pochi istanti la strada sarà piena: bambini, mamme e papà, nonni, ragazzi e ragazze, vecchi e giovani. Tutti apparecchiano con cura il proprio tavolo, come si fa in occasione di una grande festa ma anche per non seminare rifiuti: niente plastica ma tovaglie fiorite o a quadrettoni, piatti di porcellana e bicchieri di vetro, bottiglie di vino e teiere colme di thè fumante e profumato di menta. Colori, odori, rumori, chiacchiere, tante chiacchiere… un fiume di parole scorre tra chi partecipa ai preparativi di questa incredibile tavolata: la 100 Piatti, una cena all’aperto che l’associazione ProPolis organizza all’inizio di ogni estate.
Durante la riunione il tempo scorre veloce, mentre i bambini giocano nel prato e dentro la casetta di plastica colorata. Inizia a calare la sera e a cambiare la temperatura. Qualcuno inizia ad avere fame. E così, spontaneamente, Ilaria e qualche altro membro del GAS si alzano e iniziano a portare in tavola, mentre noi continuiamo a chiacchierare, alcune delle pietanze preparate da noi per l’occasione: la mia farinata in versione liscia e con le cipolle, di cui qualcuno mi chiede già la ricetta, l’hummus di ceci, la torta salata di zucchine e alcuni salatini al formaggio fatti in casa che sono la fine del mondo. È bello sapere che gran parte di questo cibo è prodotto con materie prime acquistate dal nostro gruppo, e che il formaggio dei salatini, ad esempio, è il parmigiano di un piccolo allevatore della zona di Parma. Angelo e Anna sono stati a visitare l’azienda, pernottando lì vicino, e ce ne hanno garantito la genuinità. Angelo è stato il coordinatore del GAS fino a oggi e ha tenuto insieme il GAS nel periodo più difficile del lockdown. È una persona semplice, di mezza età, molto quieto e sensibile, accorto nel dosare le parole che utilizza nel contatto con gli altri. Come lui, anche altri si impegnano a visitare produttori e aziende: c’è chi, come me, non si è spinto lontano ed è stato a vedere l’azienda di Beatrice, che coltiva piccoli frutti ad Astino, ma anche chi, come Clemens, si è spinto fino in Sardegna alla ricerca di ottimi carciofi o in Trentino ad assaggiare le mele, o chi, come Elvira, in questo periodo sta facendo un tour di allevatori di formaggi di capra alla ricerca di un’azienda il più rispettosa possibile degli animali.
Ogni volta che arrivo all’orto la sensazione è quella di far proprio parte di questo spazio. È come se i miei piedi entrassero nella terra come le radici di un albero e la mia testa si avvicinasse ancor di più al cielo come le sue fronde. È una forma di equilibrio, di connessione, di tranquillità. Ho sempre avuto questa duplice necessità, di avere i piedi ben piantati a terra, per la mia concretezza, ma contemporaneamente di sentire l’aria, di vedere la luce sopra di me ed essere libera di pensare, fare, inventare.
Questa sensazione di pace la sento forte quando metto le mani nella terra, un po’ come infilare la spina nella presa del benessere, e la mia attrazione per questo luogo si manifesta appieno così.
Riemergendo da tutti questi ricordi, mi rendo conto di quanta parte abbia avuto il cibo nella vita della piccola comunità raccolta intorno al cortile: le pannocchie, il pasto frugale che si condivideva nel giorno della trebbiatura del grano, il latte delle mucche nella stalla al pian terreno…
Un filo sottile ma tenace collega quei giorni lontani al mio impegno per “Ol Disnà”, dove il cibo rappresenta non solo un diritto dei più vulnerabili, ma un’esperienza di legame e di coesione sociale.
Vi voglio portare in un luogo che ho scoperto da poco, ma che è già diventato una parte importante della mia vita. È un piccolo appezzamento di terra che nel corso degli anni è diventato un frutteto. Un angolo nascosto di cui pochi conoscono l’esistenza.
Si trova sulla breve salita che costeggia il muro di recinzione di Villa Goisis. Basta varcarne il cancello e, in un attimo, ti trovi in un giardino segreto; sei subito avvolto, abbracciato dai rami delle piante. Entriamoci insieme, vi condurrò io.