Project Description
LASCIO IN EREDITÀ ME STESSO ALLA TERRA
FARE MEMORIA TRA VOLONTARIATO E PATRIMONIO CULTURALE
CSV Bergamo – Centro di Servizio per il Volontariato di Bergamo, 2020-2021
Non so come sia successo, che io sia riuscita a dare un ordine a quello che cercavo di esprimere, travolta com’ero dai pensieri e dalle emozioni che affioravano, di getto… e che mi parevano scollegati con la mia esperienza in associazione. Quando ci siamo sedute sui gradini, lì ferme a osservare, allora mi “si è aperta una finestra”… ho provato commozione e stupore…
Maria Francesca Pasinelli, Presidente Alzheimer Bergamo
Nella primavera del 2020, la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto drammatico sul territorio bergamasco, con conseguenze gravissime anche per il volontariato locale, che alla perdita di tante vite umane ha sommato l’impossibilità per numerose associazioni di continuare a svolgere il proprio lavoro.
“Lascio in eredità me stesso alla terra” è nato quindi per rispondere a una situazione di forte fragilità, ma nel contempo riaffermare la straordinaria ricchezza e il ruolo vitale che il volontariato svolge nella promozione del benessere della collettività.
Il titolo del progetto trae ispirazione da un verso di Walt Whitman (I bequeath myself to the dirt) per sottolineare dimensioni fondamentali del volontariato come il dono di sé, il fare memoria per sostenere il passaggio generazionale, il senso di appartenenza al territorio. Grazie al linguaggio della narrazione, i luoghi d’arte scelti per il progetto diventano così spazi di incontro e di condivisione tra i volontari, occasione per racconti inediti intrecciati alla bellezza della terra bergamasca, opportunità formativa e autoriflessiva, veicolo per promuovere il benessere e il coinvolgimento attivo della collettività.
Foto di Maria Grazia Panigada (Rotonda di San Tomè, Almenno San Bartolomeo)
46 volontari, appartenenti ad altrettante realtà associative e riuniti in sette gruppi omogenei per ambito di intervento, hanno intrecciato i propri vissuti a uno o più luoghi del patrimonio diffuso sul territorio bergamasco: il Gruppo Ambiente è stato associato a Palazzo Moroni e i suoi giardini a Bergamo; Cultura e Diritti alla Chiesa della Resurrezione a Torre de’ Roveri (con le opere e gli arredi site-specific dell’artista francese Arcabas); Disabilità alla rotonda di San Tomè ad Almenno San Bartolomeo e alla chiesa di San Giorgio ad Almenno San Salvatore (Antenna Europea del Romanico); Intercultura alle sculture contemporanee in città (il Parco della Scultura nel giardino del palazzo della Provincia di Bergamo, la zona di Largo Porta Nuova, il Chiostro di Santa Marta e la corte di Palazzo Zanchi); Povertà e Fragilità alla Cappella Suardi a Trescore Balneario (affrescata da Lorenzo Lotto); Salute e Malattia alla Chiesa della Conversione e al Monastero benedettino di San Paolo d’Argon; Terza Età alla Basilica di San Martino e al Museo d’Arte Sacra ad Alzano Lombardo.
Il lavoro con i gruppi ha avuto inizio a settembre 2020 e si è concluso nel marzo 2021, confluendo in una pubblicazione disponibile presso la sede del CSV di Bergamo; si può farne richiesta scrivendo a comunicazione.bergamo@csvlombardia.it oppure telefonando a 035.234723
Guarda il video con un estratto dalla narrazione di Giuseppe Abramo (Gruppo Terza Età)
Guarda il video con un estratto dalla narrazione di Giuseppe Daminelli (Gruppo Cultura e Diritti)
Guarda il video con la testimonianza di Marzia Gotti (Gruppo Povertà e Fragilità)
Guarda il video con un estratto dalla narrazione di Elisabetta Romagialli (Gruppo Salute e Malattia)
Guarda il video della presentazione del libro (4 maggio 2021)
Qualche estratto dalle narrazioni
Entro e abituo lo sguardo finché, piano piano, dalla poca luce emergono le forme, i dettagli.
Il mio sguardo non è attratto dalla forza delle colonne, ma dal capitello sovrastante un affresco raffigurante la Madonna con Gesù.
I rami stilizzati sono un intreccio di forme che si rincorrono, senza soluzione e tregua; penso che sono come è stata la mia vita fino ad ora: facevo una cosa e già pensavo a cosa fare dopo.
Sono sempre in movimento, preoccupandomi dei bisogni delle persone che mi sono affidate […]
Mi accorgo che il capitello è composto da simmetrie, un insieme armonioso e gli intrecci trovano un equilibrio, lo stesso che cercavo io, oggi, entrando.
È una vita che corro, sono stanca.
Mi siedo e immagino di dipanare fra le mie mani questi rami, come un nastro continuo.
Ora davanti a me il nastro sciolto compone la forma del cerchio.
Un cerchio che mi avvolge.
E mi sento serena….
Varco la porta del Silenzio.
Il mio sguardo è catturato da un angelo inondato di luce.
Un piede è appena appoggiato allo sfondo verde, l’altro sospeso nel vuoto.
Dà l’idea di poter andare oltre. In luoghi dove non c’è ancora un punto di ancoraggio, un senso di sicurezza, una risposta a quello che vivrai, a quello che sperimenterai. È come sentirsi allo stesso tempo sostenuti e sollevati.
Un angelo che può scendere sulla terra, mescolandosi agli esseri umani, che cosa può portare loro in dono se non la desiderata leggerezza?Dei familiari che incontriamo in Associazione mi resta impresso il volto, l’espressione dello sguardo, come se dentro i loro occhi ritrovassi un’esperienza che ci accomuna, un frammento di me, la loro commozione e la mia.
La speranza è di sollevarli dal peso, dalle mura della distanza, dal timore di cadere nel silenzio dei rimorsi. Le emozioni talvolta restano nascoste, talvolta si fermano all’altezza del respiro. Saperle accogliere e viverle può aprire a possibilità nuove.
Alzo gli occhi e uno sguardo mi cattura. Quell’unico angelo che si sporge all’in giù, come se stesse scrutando un punto che non riesce a mettere a fuoco, in cerca di qualcosa. È il suo sguardo a farmi entrare nel Paradiso della cupola, dove mi ritrovo all’improvviso: un universo intero, fatto di tanti sguardi, di tanti piccoli occhi – quelli che ogni volta incontro in corsia.
Mi sono “specializzata in sguardi”: leggere quell’universo è diventata la mia sfida e il mio impegno. Ed è sempre una scoperta nuova.
La parola è un corollario non sempre necessario in questa orchestra di emozioni. Ogni universo ha le sue esigenze e le comunica con infinite modalità. Ma gli sguardi si aprono sul mondo interiore ed emotivo del bambino, dell’adolescente, persino del neonato, e non mentono mai.
“Guardami, io ti cerco” – dicono i loro occhi cercando i miei, e io so che se non avrò timore di guardare la paura e il dolore, loro mi lasceranno entrare…
Se dovessi immedesimarmi in una delle donne, sceglierei la prima: guarderei l’angelo con attenzione e mi avvicinerei di più, spinto dalla curiosità, perché quello che sta dicendo mi capovolge il motivo per cui sono venuto qui.
Ricordo un giorno lontano in cui volevo a tutti i costi aiutare Ugo a salire le scale, perché era paralizzato alle gambe. Lo stavo prendendo in braccio e poco ci mancava che mi prendesse a pugni. Mi disse che se voleva essere aiutato me l’avrebbe chiesto lui, e quindi mi sottopose a quello che per me è stato un vero supplizio: guardarlo risalire le scale lungo la ringhiera, aiutandosi solo con la forza delle braccia. Pensavo che fosse fuori di testa, ma in realtà ero risentito perché aveva frustrato il mio sentimento riparatore.Ecco, davanti al sepolcro vuoto le tre donne esprimono stupore e delusione, che poi diventa incredulità di fronte all’annuncio dell’angelo. Anche loro, come me, avranno pensato che l’Essere da loro amato era fuori di testa. Io vedevo nel mio amico Ugo un uomo non integro e quindi da aiutare, loro volevano Gesù morto e quindi un corpo da accudire.
Non si cambia convinzione, non si può se prima non si alleggerisce il proprio passo, non si impara a trattenersi e a osservare con occhi nuovi.
Quattordici.
Quattordici volte compare in questo affresco.
Quattordici volte è a fianco di Barbara.
Quattordici volte bisogna cercarlo.
Perché sfido chiunque entri nella Cappella Suardi ad accorgersi di lui a un primo sguardo.
Per trovarlo bisogna fare un lavoro minuzioso, darsi tempo per abituare gli occhi ai colori, alle luci, al ritmo dell’affresco; così come ogni volontario ha bisogno di tempo per distinguere i colori, i suoni e l’odore della strada, per accorgersi di loro che stanno ai bordi: “le nostre ragazze”, le migliaia di Santa Barbara che incontriamo a Bergamo da oltre vent’anni. Di giorno e di notte. In ogni stagione. In ogni condizione di salute. Sempre.
Il cagnolino a volte precede Barbara, a volte la segue, altre sta ai suoi piedi. È piccolo, ma c’è. Sempre
Un albero da solo, incurvato, sembra sfinito, ma dentro di sé custodisce la vita: nidi, tane, il muschio che lo ricopre e lo rende verde, anche senza foglie. È piegato e appare bisognoso di sostegno, di cura, eppure avvicinandomi mi accorgo che è lui a dare sostegno e cura. […]
Seguo i suoi rami e il mio sguardo sale verso il cielo, dove un intreccio di rami, su più piani di profondità, crea un ricamo sottile, in uno schema libero, nitido nel nitore di questo cielo invernale.
Fra pochi mesi sarà tutto diverso, la vita sarà palese su questo albero con le sue foglie, i suoi fiori rosati e, a seguire, i suoi dolci frutti, ma è ora, nel riposo dell’inverno, che mostra la forza resistente della natura: il migliore esempio per un volontario, in questo momento di pandemia.
Tebe non si accorge di me, che in silenzio mi avvicino. Osservo la sua intimità, così raccolta in questo ovale. Un guscio, uno spazio riservato, un utero che custodisce vita, preziosa e delicata. […]
I suoi piedi escono dall’ovale, non è rinchiusa all’interno, non è in una posizione di tensione, ma di tranquillità. E allora mi viene in mente che per Tebe, per i suoi piedi, non ci sono costrizioni: potrebbe abbassarli, mettersi a sedere e poi scivolare fuori, decidere di alzarsi e allontanarsi.
Non sempre questo è possibile per le persone che incontro. E questo lo so quando le vedo uscire dalla stanza.